Quinta di Quaresima

Tra le azioni che il cristiano dovrebbe compiere durante la Quaresima per tutto predisporre all’azione della grazia e mostrare segni di conversione c’è anche l’elemosina: termine oggi poco amato, ma che nel suo significato autentico indica “provare pietà”, “avere nelle proprie viscere sentimenti di amore”. 

Oggi potremmo renderlo con un’espressione che ne evidenzia un aspetto e nel contempo ne designa l’intenzione cristiana: “condivisione con i più poveri”. 

Già nel Primo Testamento i profeti ammonivano che il digiuno diventa autentico e fecondo quando è accompagnato dal “dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i poveri, vestire chi è nudo” (Is 58,7), ma i cristiani della chiesa primitiva coglievano proprio nella pratica della condivisione la differenza etica cristiana rispetto ai pagani. 

Non si trattava, infatti, di una pur importante questione di “opere di carità” da svolgere in base a criteri di giustizia umana, ma c’era la consapevolezza che i poveri sono un autentico “luogo teologico” in cui si accede a una rivelazione su Dio: incontrarli, condividere con loro i beni che si hanno per eredità, sorte o lavoro era percepita come un’esperienza viva di comunione, come possibilità concreta di avere lo stesso cuore di Gesù Cristo, che “da ricco che era si è fatto povero per noi” (2Cor 8,9), di nutrire i suoi stessi sentimenti (Fil 2,5). Perché il cristianesimo è – prima di tutto – un modo di vivere nel mondo, e questa terra è concepita come un dono di Dio destinato alla comunione. 

Allora tra i cristiani dovrebbero essere normali queste riflessioni: “Tuo e mio sono parole prive di fondamento reale”, “la natura ha voluto tutte le cose in comune, per l’uso di tutti: solo l’usurpazione ha fondato il diritto privato”, “la comunità è molto più conveniente all’ordine naturale che non la proprietà” ... sono parole queste, non di  cristiani marginali, ma di san Basilio, san Giovanni Crisostomo, sant’Ambrogio: parole cioè di vescovi e padri della Chiesa, perché tale era la fede pratica della Chiesa primitiva! 

Oggi, quando queste parole vengono citate, appaiono quasi la testimonianza archeologica di un’epoca aurea, ma non interrogano più i credenti, non destano inquietudine. Perfino quanti all’interno della Chiesa conducono vita religiosa e cercano di vivere questa reale comunione dei beni nelle loro comunità sembrano oggi essere afoni su questo atteggiamento che, invece, dovrebbe costituire un messaggio performativo. 

Oggi i tempi sono sfavorevoli ai poveri e alla loro partecipazione alla società del benessere e dell’opulenza regnante nella parte settentrionale del pianeta: anche tra i cristiani queste tematiche non sono più dibattute anzi, qua e là cantano voci che vogliono tranquillizzare le coscienze, negando addirittura qualsiasi nesso tra la nostra opulenza e le povertà del mondo e fornendo alle società ricche delle ragioni per continuare a prosperare senza vergognarsi! Eppure la sera del giovedì santo, Gesù lava i piedi