Gesù chiede ai piedi degli uomini di portarlo nel cuore del mondo

«Slegateli e conduceteli da me… ecco, a te viene il tuo re» (Mt 21,1-9). L’ingresso di Gesù a Gerusalemme ci introduce allo stile sorprendente del Messia: un Dio che arriva non con potenza, ma nella semplicità di un asinello, nella libertà di chi si fa accogliere e non impone la propria presenza.


Guardiamo ai piedi dell’icona. Gesù entra nella città santa, ma Gerusalemme oggi è ogni luogo in cui si vive la vita: dove si ama, si soffre, si spera, si chiede aiuto, si lavora e ci si prende cura degli altri. È lì che Dio desidera farsi vicino. E il primo gesto sorprendente di Gesù è chiedere ai discepoli di entrare loro per primi in città e portargli due asinelli.


I primi piedi che calpestano le strade di Gerusalemme sono quindi quelli dei discepoli, che accolgono la sua parola. E quando Gesù sale sul puledro, sono i piedi umili dell’animale a portarlo: Gesù sceglie di non entrare con i propri piedi, ma di lasciarsi condurre.


Questo gesto rivela un messaggio profondo: Dio non vuole agire da solo. Avrebbe potuto farlo, ma non è il suo stile. Preferisce affidarsi alla libertà e alla disponibilità degli uomini. Anche oggi chiede ai nostri piedi di portarlo, alle nostre mani di accoglierlo, alle nostre vite di renderlo presente nei luoghi dove c’è più bisogno: nelle ferite del peccato, nelle zone d’ombra del male, nell’egoismo che ci abita.


Il Natale che ci prepariamo a vivere ci ricorderà ancora una volta questo stile: un Dio che nasce e trova mani e piedi pronti ad accoglierlo, sorreggerlo, offrirgli spazio.


L’icona porta in sé un dettaglio significativo. L’antichità ha rovinato i piedi di Gesù, rendendoli invisibili, mentre sono nitidi e persino sporgenti oltre il riquadro quelli dell’amico che lo accompagna. È un’immagine eloquente: oggi Gesù cammina sui nostri piedi. Siamo noi a portarlo oltre i “riquadri” nei quali spesso viene confinato — la chiesa, la parrocchia, l’oratorio, gli ambienti religiosi.


Come i due amici dell’icona, anche noi siamo chiamati a rimanere in movimento. La vita cristiana non è immobilità, ma cammino continuo, lasciando che la sua amicizia illumini le nostre scelte e ci renda capaci di andare verso chi attende speranza.


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